presenta Il Duca ed. Einaudi. Ne parla con Alberto Rosa
Un paese di montagna, un'antica villa con troppe stanze, l'ultimo erede di un casato ormai estinto, lo scontro al calor bianco tra due uomini che non sembrano avere nulla in comune... Quanto siamo fedeli all'idea di noi stessi che abbiamo ricevuto in sorte? Matteo Melchiorre ha costruito una storia tesissima ed epica sulla furia del potere, le leggi della natura e la libertà individuale. Un romanzo che ci interroga a ogni riga sulla forza necessaria a prendere in mano il proprio destino: «il modo giusto per liberarsi del passato non è dimenticarlo, ma conoscerlo».
«"Il Duca" è pervaso da una forza nera» – Marco Missiroli
«Ti prende, questa strana lingua, come il bosco che ti cresce intorno e non te ne accorgi» – Paolo Cognetti
L'ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano piú a nessuno, sembra distante. L'ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca». Sospeso tra l'incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire. Ci sono libri che fin dalle prime righe fanno precipitare il lettore in un mondo mai visto prima. L'abilità dell'autore sta nel mimetizzarsi tra le pieghe della storia, e fare in modo che abitare accanto ai personaggi risulti un gesto tanto istintivo quanto inevitabile. È quello che accade leggendo Il Duca, un romanzo classico eppure nuovissimo, epico e politico, torrenziale e filosofico, che invita a riflettere sulla libertà delle scelte e la forza irresistibile del passato. Con una voce colta e insieme divertita, sinuosa e ipnotica – inusuale nel panorama letterario nostrano – Matteo Melchiorre mette a punto un congegno narrativo dal quale è impossibile staccarsi.
Matteo Melchiorre (1981) dopo aver svolto attività di ricerca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Università degli Studi di Udine, è diventato ricercatore assegnista presso lo IUAV di Venezia. Si occupa di storia economica e sociale del tardo Medioevo e di edizione di fonti. Tra i suoi saggi storici si ricordano: A un cenno del suo dito. Fra Bernardino da Feltre (1439-1494) e gli ebrei (Unicopli 2012), Conoscere per governare. Le relazioni dei Sindici inquisitori e il dominio veneziano in Terraferma (1543-1626) (Forum 2013), “Ecclesia nostra”. La cattedrale di Padova, il suo capitolo e i suoi canonici nel primo secolo veneziano (1406-1509) (Istituto Storico Italiano per il Medioevo 2014) e Il Chronicon bellunense (1383-1412) di Clemente Miari (Viella 2015). Tra le opere narrative si ricordano: Requiem per un albero. Resoconto dal Nord Est (Spartaco 2004, 2007); La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi) (Laterza 2011), La via di Schenèr. Un'esplorazione storica nelle alpi (Marsilio 2016, Premio Mario Rigoni Stern 2017 e Premio Cortina 2017) e Storia di alberi e della loro terra (Marsilio 2017).